Due anni di attesa e alla fine la legalizzazione della cannabis imbocca un binario morto, insieme alla legge sottoscritta da circa 67mila cittadini e promossa dall’Associazione Luca Coscioni per i diritti del malato. La criminalità organizzata ringrazia.

Giovedì scorso, la riforma sulla marijuana è arrivata all’esame dell’aula di Montecitorio priva della sua parte più importante, quella che riguardava l’autorizzazione al commercio. Della proposta originaria è rimasta in piedi solo la parte riguardante l’uso terapeutico, tra l’altro già previsto per legge. E pensare che il testo iniziale era stato formulato da un fronte trasversale di ben 220 deputati di tutti gli schieramenti politici. Sembrava un passo avanti storico per la paludata politica italiana e invece, a fine luglio, le commissioni riunite hanno deciso di stralciare la parte sulla legalizzazione. L’Aula voterà soltanto le norme che riguardano l’utilizzo della cannabis a scopo terapeutico. Una non-riforma visto che il suo contenuto principale è stato accantonato.

A questo punto non è chiaro lo scopo dell’attuale testo all’esame di Montecitorio. L’uso terapeutico è già previsto dal Ministero della Salute e da molte Regioni che hanno provveduto a regolamentare la materia con norme ad hoc. Forse i parlamentari intendono risolvere una volta per tutte il problema dell’approvvigionamento. La cannabis a uso terapeutico, infatti, si può ottenere solo su prescrizione medica, ma il decreto ministeriale non trova omogenea applicazione a livello regionale. Ci sono dubbi sul rimborso, sulle dosi e sulla distribuzione assai limitata (lo stabilimento militare di Firenze che la produce non ha la portata di un laboratorio industriale). Si spera che almeno in questo senso la discussione sia positiva.

Intanto, i deputati più convinti della bontà della riforma hanno provato a reintrodurre le norme sulla legalizzazione nelle commissioni Affari sociali e Giustizia, ma gli emendamenti sono stati respinti. Il relatore del testo, Daniele Farina, deputato di Sinistra Italiana, si è dimesso in segno di protesta per le sostanziali modifiche. Da sempre è un convinto sostenitore della legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati.

Ha affidato a Facebook il suo pensiero ed è stato durissimo: “È stata bocciata una regolazione dello Stato diversa dall’attuale monopolio delle organizzazioni criminali. Bocciata persino la liceità della coltivazione personale, anche solo per l’uso terapeutico”. Daniele Farina ha più volte precisato che il testo in Aula sulla cannabis non risponde alle richieste sul tema e delude le aspettative. Le dimissioni sono l’inevitabile conseguenza di un testo di cui non riconosce la paternità.

Il motivo della legge azzoppata sarebbe da ricercare nell’ormai vicina fine della legislatura: con la campagna elettorale alle porte gli esponenti dei partiti non se la sono sentita di misurarsi su un tema così delicato.

Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri e esponente dell’intergruppo parlamentare Cannabis Legale ha spiegato senza giri di parole: “Visto che la discussione era difficile e molte forze politiche avrebbero finito per dividersi, per evitare le divisioni si è abolita la discussione. Il testo che arriva in Aula è sfigurato”.

Della Vedova ha sottolineato come il rifiuto ad affrontare l’argomento da parte del Pd sia un clamoroso autogol politico. Significa assumere una posizione a favore dello status quo lasciando il monopolio delle ragioni antiproibizioniste in mano al Movimento Cinque Stelle e alla Sinistra Italiana. Della Vedova trova sponda in Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera ed esponente del Partito Democratico. Giachetti è stato il primo firmatario del provvedimento nella convinzione che fosse un testo equilibrato e necessario.

Evidente la sua amarezza quando ha ammesso l’errore del partito. I Pentastellati attaccano il compromesso al ribasso da cui sono rimasti esclusi l’autoproduzione, i cannabis social club come in Spagna e il monopolio di Stato. Per i Cinque Stelle si tratta di un vero e proprio regalo alla criminalità organizzata perché si lascia libero di prosperare un mercato illegale il cui giro d’affari ammonterebbe a oltre 7 miliardi di euro l’anno.

Delusi anche i Radicali. Il segretario Riccardo Magi parla di scelta ipocrita e di Parlamento soffocato dell’ideologia proibizionista. Secondo Magi, in Italia gli spacciatori continueranno a spacciare indisturbati, mentre chi vuole coltivare una piantina per uso personale rischia fino a sei anni di reclusione. Sul fronte opposto, esulta la maggior parte del centrodestra.

A prescindere dalle opinioni personali, la politica italiana ha perso l’ennesima sfida scegliendo di chiudere gli occhi su un dibattito già affrontato e risolto in altre nazioni europee. Tuttavia il senatore Benedetto Della Vedova ha precisato che le parti stralciate saranno riproposte sotto forma di emendamenti durante il dibattito parlamentare. In questo modo si conoscerà con esattezza quali forze politiche (e quanti franchi tiratori) si oppongono alla legalizzazione della marijuana.

C’è da dire che gli stessi politici, parlando di piantine sul balcone e libero consumo di droga, fanno confusione su una battaglia importantissima. Per comprendere il tema bisogna partire dal presupposto che la cannabis terapeutica non ha nulla a che fare con quella utilizzata in modo ricreativo. La marijuana che si vorrebbe legalizzare è completamente diversa. I medici e gli scienziati hanno stabilito che solo il perfetto dosaggio di alcuni elementi rende la cannabis utilizzabile come terapia.

Il THC e il CBD sono i due elementi principali. Il primo induce l’effetto farmacologico, il secondo argina gli effetti del THC. Insieme si equilibrano in quello che è definito effetto Entourage. Dunque, la composizione di questa cannabis è frutto di ricerca e produzione medica esattamente come avviene per tutti gli altri farmaci in commercio. Anni luce distante dalla “canna d’erba” proveniente dalla strada.

Attualmente la marijuana a scopo farmacologico trova indicazione nei pazienti chemioterapici e per il controllo di nausea e vomito. La letteratura scientifica ne conferma la validità anche per chi soffre di dolore cronico, emicrania, ipertensioneed altre condizioni di salute più o meno grave.